Era il 1961 quando le ambasciate di Cuba negli Stati Uniti furono chiuse.
Il 20 luglio 2015 ha segnato il giorno della riapertura. Nel 1961 alla
Casa Bianca c’era Dwight Eisenhower, mentre due anni prima Fidel Castro
aveva preso il potere all’Avana. Adesso alla guida del Paese americano
c’è Barack Obama, a Cuba c’è sempre Fidel Castro, 88 anni, sulla cui
morte si è speculato molto nel corso dell’ultimo anno, anche se il
passaggio storico è toccato al fratello Raul Castro, alla guida del
Paese dal 2008, che dopo 54 anni ha rimesso in moto la storia del suo
Paese.
Quella aperta sul Malecon è una sede diplomatica emblema delle tensioni bilaterali degli ultimi decenni: nel
2006, davanti all’edificio Fidel Castro fece installare decine di aste
sulle quali sventolavano bandiere cubane, per impedire a chi ci passava
davanti di avere una visione completa della facciata della sede. Era la
risposta di Castro all’autoritarismo americano fatto anche a colpi di
frasi di personaggi quali Abramo Lincoln, Mahatma Gandhi, Lech Walesa e
Martin Luther King. L’edificio è vigilato dalle camere e dal personale
della sicurezza Usa. Dai prossimi giorni ci sarà una graduale
diminuzione della sorveglianza dell’edificio e il check dei visitanti
passerà nelle mani dei diplomatici Usa, i quali potranno circolare
liberamente in lungo e in largo nell’isola. E la bandiera di Cuba è
tornata a sventolare su Washington, issata davanti all’imponente
palazzina che nel 1917 fu costruita proprio per ospitare la
rappresentanza diplomatica de L’Avana. Sono le ultime vestigia della
guerra fredda che svaniscono, l’ultimo muro del ventesimo secolo che
crolla. E la cerimonia organizzata nella capitale statunitense è stata
solenne. Mentre un’altra altrettanto pomposa sarà presto organizzata a
L’Avana.
Al di là del significato diplomatico, c’è un tema economico importante legato alla fine dell’embargo a Cuba. Secondo
il dossier sul Paese pubblicato dall’Istituto di politica
internazionale (Ispi), Cuba è già riuscita a ridurre il debito
accumulato dal cosiddetto “periodo speciale” e ad attrarre nuovi
investimenti. Da un lato L’Avana è riuscita nel 2014 a farsi ammortare
la gran parte dei propri debiti da Russia e Messico (pari
rispettivamente al 90% e al 70%), dall’altro il governo ha favorito la
concentrazione d’investimenti stranieri nella cosiddetta Zona di
sviluppo speciale di Mariel, un’area deputata a ricevere e sviluppare la
gran parte dell’attività industriale di Cuba.
I Paesi più interessati a investire a Cuba sono senza dubbio
il Brasile, che ha scommesso sul nuovo porto commerciale, e la Cina che
ha firmato quindici accordi di cooperazione su vari temi, divenendo il
secondo partner commerciale di Cuba. E poi ci sono, ovviamente, gli Stati Uniti.
Secondo lo studio Ispi, le lobby dell’agroalimentare, del turismo,
dell’automobile, ma anche delle telecomunicazioni e della farmaceutica
hanno prima cercato di capire come si sarebbero potute inserire nel
contesto cubano alla luce dell’attrazione dei capitali stranieri e del
nuovo pacchetto di riforme promosso dal governo, dopo hanno sostenuto e
appoggiato direttamente il cambiamento di strategia e di approccio
politico dell’establishment Usa. Fino alla data storica del 20 luglio
2015.