sabato 1 agosto 2015

Era il 1961 quando le ambasciate di Cuba negli Stati Uniti furono chiuse. Il 20 luglio 2015 ha segnato il giorno della riapertura. Nel 1961 alla Casa Bianca c’era Dwight Eisenhower, mentre due anni prima Fidel Castro aveva preso il potere all’Avana. Adesso alla guida del Paese americano c’è Barack Obama, a Cuba c’è sempre Fidel Castro, 88 anni, sulla cui morte si è speculato molto nel corso dell’ultimo anno, anche se il passaggio storico è toccato al fratello Raul Castro, alla guida del Paese dal 2008, che dopo 54 anni ha rimesso in moto la storia del suo Paese.
Quella aperta sul Malecon è una sede diplomatica emblema delle tensioni bilaterali degli ultimi decenni: nel 2006, davanti all’edificio Fidel Castro fece installare decine di aste sulle quali sventolavano bandiere cubane, per impedire a chi ci passava davanti di avere una visione completa della facciata della sede. Era la risposta di Castro all’autoritarismo americano fatto anche a colpi di frasi di personaggi quali Abramo Lincoln, Mahatma Gandhi, Lech Walesa e Martin Luther King. L’edificio è vigilato dalle camere e dal personale della sicurezza Usa. Dai prossimi giorni ci sarà una graduale diminuzione della sorveglianza dell’edificio e il check dei visitanti passerà nelle mani dei diplomatici Usa, i quali potranno circolare liberamente in lungo e in largo nell’isola. E la bandiera di Cuba è tornata a sventolare su Washington, issata davanti all’imponente palazzina che nel 1917 fu costruita proprio per ospitare la rappresentanza diplomatica de L’Avana. Sono le ultime vestigia della guerra fredda che svaniscono, l’ultimo muro del ventesimo secolo che crolla. E la cerimonia organizzata nella capitale statunitense è stata solenne. Mentre un’altra altrettanto pomposa sarà presto organizzata a L’Avana.
Al di là del significato diplomatico, c’è un tema economico importante legato alla fine dell’embargo a Cuba. Secondo il dossier sul Paese pubblicato dall’Istituto di politica internazionale (Ispi), Cuba è già riuscita a ridurre il debito accumulato dal cosiddetto “periodo speciale” e ad attrarre nuovi investimenti. Da un lato L’Avana è riuscita nel 2014 a farsi ammortare la gran parte dei propri debiti da Russia e Messico (pari rispettivamente al 90% e al 70%), dall’altro il governo ha favorito la concentrazione d’investimenti stranieri nella cosiddetta Zona di sviluppo speciale di Mariel, un’area deputata a ricevere e sviluppare la gran parte dell’attività industriale di Cuba.
I Paesi più interessati a investire a Cuba sono senza dubbio il Brasile, che ha scommesso sul nuovo porto commerciale, e la Cina che ha firmato quindici accordi di cooperazione su vari temi, divenendo il secondo partner commerciale di Cuba. E poi ci sono, ovviamente, gli Stati Uniti. Secondo lo studio Ispi, le lobby dell’agroalimentare, del turismo, dell’automobile, ma anche delle telecomunicazioni e della farmaceutica hanno prima cercato di capire come si sarebbero potute inserire nel contesto cubano alla luce dell’attrazione dei capitali stranieri e del nuovo pacchetto di riforme promosso dal governo, dopo hanno sostenuto e appoggiato direttamente il cambiamento di strategia e di approccio politico dell’establishment Usa. Fino alla data storica del 20 luglio 2015.